martedì 2 dicembre 2014

Meglio arrivare morto

portatelo a maiasienu
fatilo parrari
portatilu a maiasienu
l'hamu a scannari

'zu Totò, come dice vossia, quello che dice vossia per noi è comandamento.

Oggi si travagghia, è una giornata di marzo troppo bella, don Piddu Panno ha già portato gli uomini in campagna, ora scende dalla traversa. Sta guidando.
Le cose per ora gli girano bene, le cose gli stanno girando per il verso giusto. 'U curliunisi si sta allargando assai, con il suo permesso vengono fatte raffinerie di troca ovunque, pigghiano la cosa grezza e con l'acito la fanno diventare a cristalli, poi la macinano, eroina pure al 97%.  Sono piccioli assai, non si babbia. Ma a don Piddu la troca non ci piace. Sempre lo dice, nel mio territorio troca niente, ammazzatine sì, per tutti quelli che ci scassanu i cugghiuna, ma troca mai, sino a che sono vivo io. E la raffineria invece ce la misero sotto il cuscino dove dorme.
Ammazzamulu 'u curliunisi, subito, riunione.
A Casteldaccia una sera che è scuro si vedono macchine che mai si erano viste, i paesani conoscono targa e matricola di ogni macchina in circolazione. Queste non sono di qua. E sono importanti. Pure blindate. Si capisce.
A Casteldaccia c'è riunione.
C'è Stefanuccio.
C'è Totò.
C'è Mimmo.
C'è 'u catanisi. Nitto Santapaola.
Tutti d'accordo sono, tutti d'accordo sembrano.
Buonanottata a tutti, quello che va fatto sarà fatto.

In questa bella giornata di marzo che è giorno undici, don Piddu Panno scende dalla traversa di Casteldaccia e gli alberi di limoni sono rigogliosi, belle pampine verde: questa è annata buona.
Buona per lui e buona per tutto il paese: per coltivare i giardini ci vogliono piante, il sole, la mia acqua.
Don Piddu Panno scende e pensa che tutto qui è sotto il suo controllo, un mandamento pacifico e virtuoso, rapporti buoni con tutti, figliocci che mostrano tanta devozione. Devotissimi.
Certo qualche scassamento di minchia non manca. Si chiama Nino ' u merdaiolo, ma ora lo chiamano prosecuto – latitante -, per me, pensa don Piddu, merdaiolo nacque e merdaiolo resta.

Nino 'u merdaiolo ha ammazzato un carabiniere, Orazio Costantino, cose di estorsioni che Costantino decise che i soldi glieli portava lui, Nino lo vide e Nino ci sparò. E muriu Costantino. E lui fu condannato all'ergastolo.
Don Piddu le estorsioni non gli piacciono, ma questo non riesce a levarselo dai coglioni.
Vive tra le montagne, sotto la protezione dei bagheresi: favori in cambio di protezione, così funziona.
Qualcuno, per fare capire chi è, lo chiama “killer dei bagheresi”.
Meglio prosecutu.
Quando non c'è lavoro da fare lui gira montagne montagne, a Rannino. E di sera qualche volta rientra a casa, da sua moglie, per dormire tranquillo. Al mattino sveglia presto e si mette la tonaca. Pare un monaco vero, nessuno lo riconosce.
Nino è furbo.

C'è vento per ora in provincia di Palermo, prima l'aria tirava dalla città verso fuori, ora no, il vento tira da Corleone, si sente, si capisce – c'è puzza di stalla e di tumazzu.
In città tanti hanno capito che l'aria di Corleone è la migliore, quella che assicura la sopravvivenza. Tanti hanno cambiato religione. Basta accollarsi qualche sacrificio per dimostrare di essere sinceri. Basta ammazzare il capo.

Due dei figliocci di don Piddu Panno di meteorologia se ne intendono, soprattutto di rosa dei venti.
Uno è Cesare Peppuccio Manzella. L'altro è Pietro Martorana 'u malufigghiu.
Uno lavorava alla Fiat, l'altro fa sbancamenti, ha i camion.
Tutt'è due devono fare la consegna ai bagheresi di questo che vorrebbe attentare allo zio Totò.
Queste cose non si fanno.
Così ha detto lo zio Totò quando ha saputo del complotto.
Lo zio Totò ha informato i bagheresi, sono amici cari, carissimi, hanno fatto la scelta giusta.
Organizzano tutto loro.

Marzo del 1981, giorno undici, bella mattinata che don Piddu Panno guarda la campagna e se ne pria, bell'annata.
Le cose girano. Girano per il verso giusto.
Sta scendendo dalla traversa.
Due per strada lo fermano.
Don Piddu li conosce.
Talè cu c'è, e voi qua che ci fate.
Sono Cesare Peppuccio Manzella e Pietro Martorana.
I me figghiuozzi, pensa don Piddu, mi posso fidare.
Zzù Piddu, ci faccia entrare.
A bello cuore, dice don Piddu Panno mentre gli apre gli sportelli del suo furgone.
Don Piddu sorride.
Poi vede altri due che si infilano nel furgone.
Che ci fanno questi due insieme a Peppuccio e a Pietro?
Questi due che si infilano sono Nino Parisi e suo fratello Giusto.
Belli spicchi. Gli spicchi fradici dell'arancia toccata dalla mosca che cade per terra prima di arrivare a maturazione.
Don Piddu capisce tutto. Non sorride più.
Qualcuno lo ha tradito.
Stefano, Totò, Mimmo, Nitto.
Sicuramente 'u catanisi.
Lo fanno togliere dal posto guida, lo fanno sedere dietro.
Don Piddu capisce, questi ora mi portano a Bagheria, alla fabbrica del ferro, mi faranno sedere su una sedia, attaccato. E mi interrogheranno.
Mi daranno timpulate a sfasciarmi la faccia.
E poi mi metteranno la corda al collo.
Così si fa, don Piddu queste cose le conosce bene.
E poi mi squaglieranno nell'acido. Bastano cinquanta litri,un fusto, e macari un fuoco sotto, che l'acido riscaldato fa il suo lavoro prima. Restano solo le piombature dei denti.
Queste cose don Piddu le conosce, le sa benissimo.
Don Piddu prende la decisione più grande di tutta la sua vita.
Mai don Piddu si era trovato davanti a circostanze di questo tipo. Decidere della vita degli altri è facile, basta dire sì o basta dire no.
Basta aprire la bocca e dare la risposta.
Tante volte don Piddu ha detto sì, ammazzamulu, questo è una chiattidda attaccata ai cugghiuna.
Don Piddu decide che alla fabbrica del ferro deve arrivare morto.
I morti non li attaccano alle sedie.
Ai morti timpulate non se ne danno.
I morti non c'è bisogno di strangolarli.
Don Piddu si agita e fa come un pazzo.
Lo devono tenere fermo, l'obiettivo è consegnarlo vivo,  ma don Piddu non è cosa che puoi calmare, don Piddu sa che si deve agitare, assai, come una tempesta, come il diluvio universale.


Alla ICRE le domande rimasero senza risposta, senza soddisfazione.

Giorgio D'Amato

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